Pittore, ma anche
scultore, Vittorio Amadio ha una concezione polidirezionale dello
spazio virtuale (lo spazio, cioè, che il dipinto o la scultura
ambisce metafisicamente di occupare). Guardiamo i suoi dipinti. Anche
quando la stesura cromatica ha un andamento prevalentemente
orizzontale, l’ordito pittorico estrapola dal suo percorso
improvvise, guizzanti impennate, blocchi di segni/colore che sembrano
dissociarsi da un itinerario mentale estremamente bilanciato, per
orientarsi e avventurarsi verso l’alto rispetto al piano di sedime
del colore o dei colori selezionati dall’artista. Sono fasci di
pinnacoli, condizionati, però, nel loro dinamismo ascensionale,
dalla bidimensionalità del dipinto.
Tutt’altro
discorso per le colonne cilindriche istoriate, opere recentissime
dell’artista piceno, che qui sono esposte per la prima volta. In
queste opere i condizionamenti spaziali dei dipinti non esistono e,
pur tuttavia, la spazialità del manufatto plastico non s’aggrega
al concetto brancusiano della colonna senza fine, bensì a quello
romano e romanico della colonna “narrante”, della colonna cui
l’autore affida la funzione del dialogare (indubbiamente) con lo
spazio e, sincronicamente, con il riguardante.
Già negli anni
passati, con le stele lignee piatte, incise da arabeschi e da segni
criptici, Amadio aveva sperimentato il tentativo di accedere,
mediando tra simbolismo di derivazione totemica e recupero
strumentale della memoria ancestrale (quelle stele di legno di
quercia sono travi vecchie di secoli, alcune risalenti al ‘500,
originariamente utilizzate a sostegno di soffitti domestici), a
differenziate stratificazioni di connessioni e emozioni
intersoggettive. Con le colonne cilindriche, gremite di richiami
iconici e di trame grafiche, che l’artista dispone con la consueta
perizia, Amadio traccia serie indefinite di morfemi pittorici, che si
traducono in messaggi subliminali diretti a chi guarda. E chi guarda
se ne compenetra inconsciamente, girando attorno alle colonne,
guardandole dal basso verso l’alto e viceversa. Infatti, la
sequenza delle colonne istoriate ispira sensazioni simili a quelle di
una wunderkammer, di una stanza delle meraviglie, poiché il gioco
dei riflessi percettivi e delle suggestioni mitografiche è tale da
creare l’illusione di una realtà che ha travalicato i confini
della realtà fenomenica.
Carlo Melloni
Lo spazio
dell’immagine e lo spazio dell’immaginario
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