lunedì 17 marzo 2014

L'evento. Dal segno al senso. Presentazione del catalogo delle opere pittoriche di Vittorio Amadio

(...) L'arte di Vittorio Amadio è straordinariamente composita. Lettere di un alfabeto immaginario, su sfondo “tirato” in bianco/nero, sul quale colpi di rosso confondono e saldano contesti. Poi pennellate come coriandoli che vagano nell'aria in una serie di jeux interdis. Paesaggi stratificati di rocce quarzate. Volute e spirali come aperture di occhi sullo sfondo dello scenario di un mondo nascosto. Les danseuses flottantes, i toni cupi di una notte senza stelle per disperati dell'anima. Croci, un Sant'Andrea al “passo”, i fantasmi di una metamorfosi di pensieri dispersi all'alba. E se mironeggia o chagallizza, resta comunque il senso di profili persi nel nulla di una astrazione che finisce in mille schegge di un giallo puro in PPP (primissimo piano).
I volti-tante-storie e mai-compromessi, contraddistinti da serenità o follia, e sempre quel senso di volo libero, senza ali, che prelude a schianti o andamenti controvento. E, se tutto si sposta sulla tridimensione delle colonne, il volo verso l'alto diventa incontenibile, come incontenibili e irrefrenabili sono i tratti unici che ne contrassegnano lo sviluppo narrativo perché, alla fine, sempre di storie si tratta, anche se in verticale. Fuochi d'artificio, perché tanti sono i pensieri che si scatenano nella mente di un artista che vive l'attimo sapendo che sarà unico e irripetibile e che la mano, più veloce della mente, renderà visione concreta oltre il mistico, oltre all'inesistente trascendenza.
Radar perennemente accesi sulle percezioni, e non sui gesti, di una umanità in movimento, come la voglia di monitorare l'universo sapendo che è impossibile. Gli sfondi mono-tono di Amadio, una specie di telo teatrale concepito per far risaltare particolari che nascono così, senza tensione artistica ma come puro spunto dell'anima. Poi arrivano gli sfondi intricati, quelli della produzione più complessa di Vittorio Amadio, in cui l'urgenza è quella di dar senso e forma e coloritura a una tela che sembra sfuggirgli dalla spatola e che lo costringe a un inseguimento a perdifiato. Spunta l'onirico felliniano, il grottesco di Molière, la sottile linea d'ombra di un Conrad breve amato e detestato. Occhieggia Murakami e le tonalità orientali si vestono di surreale. Abbraccia le ansie e il male di vivere di un Pavese perso nelle langhe fino al Kafka che sfugge e all'Ovidio metamorfico dell'arte di amare. C'è dentro Pavarotti e tanto melodramma, quello che risuona nel suo studio, accompagnando con le note i colori distesi di getto, le pennellate che sfiorano leggera la tela o la comprimono, fino a farle male quando sale l'acuto e il dramma diventa tragedia. È quando Amadio incontra la letteratura e la musica del melodramma che le sue opere si fanno più vive, come se traesse spunto dalle note e dalle parole per completare un immaginario che va oltre l'immagine, oltre la storia, oltre il contesto.
Paesaggi fantastici vivi solo nella mente e nella sensibilità di chi li sa cogliere. Viaggi in treno e sguardi dal finestrino che raccontano di campagne e di litorali, di archeologia post-industriale di capannoni in disuso e rimesse per natanti senza vele. Perfino un viaggio in immersione perché incontrare Nemo è più forte di una stretta di mano con il Melville di Moby Dick.
Nelle elaborazioni anatomiche vive l'assurdo. Mai così vicino all'arte di Guernica, Amadio scardina i concetti dei corpi inseriti in uno spazio. E, se la cupezza della base fa da “cornice” alla spietatezza dei soggetti dipinti, la sensazione che dietro ci sia lo sforzo di comprendere la complessità dell'uomo è netta e passa attraverso la non omogeneità delle fisicità.
Vincono comunque i contrasti, sempre decisi, mai ottenebrati da schemi infrastrutturali che cristallizzano sensibilità ed elidono emozioni. Gli insetti, i mammiferi, gli aracnidi, il Gregor Samsa che è in lui e lì staziona... mentre Teo gli fa da controcanto... i pesci, il fondo del mare, le opere lunghe, il profilo di Tatanka e la battaglia di Little Bighorne con gli schizzi di rosso che non sono sangue ma speranze... e le langhe e Pavese e una morte che non avrà mai gli occhi di una lei, ma dello spirito dell'arte violentato dai pressapochisti senza idee né fantasia né creatività... e lo scorrere dei panorami e delle distese d'acqua visti dai finestrini di un treno o dagli oblò di una nave, in compagnia di Chatwin. Nell'arte di Vittorio Amadio c'è tutto il mondo impossibile nella lunga sequenza di un film che non avrà mai una fine né titoli di coda, utili solo a rendere omaggio ai comprimari. 

Dalla nota introduttiva di Massimo Consorti

Nessun commento:

Posta un commento