(...) L'arte
di Vittorio Amadio è straordinariamente composita. Lettere
di un alfabeto immaginario, su sfondo “tirato” in bianco/nero,
sul quale colpi di rosso confondono e saldano contesti. Poi
pennellate come coriandoli che vagano nell'aria in una serie di
jeux interdis. Paesaggi
stratificati di rocce quarzate. Volute e spirali come aperture di
occhi sullo sfondo dello scenario di un mondo nascosto. Les
danseuses flottantes, i
toni cupi di una notte senza stelle per disperati dell'anima. Croci,
un Sant'Andrea al “passo”, i fantasmi di una metamorfosi di
pensieri dispersi all'alba. E se mironeggia o chagallizza, resta
comunque il senso di profili persi nel nulla di una astrazione che
finisce in mille schegge di un giallo puro in PPP (primissimo piano).
I
volti-tante-storie e mai-compromessi, contraddistinti da serenità o
follia, e sempre quel senso di volo libero, senza ali, che prelude a
schianti o andamenti controvento. E, se tutto si sposta sulla
tridimensione delle colonne, il volo verso l'alto diventa
incontenibile, come incontenibili e irrefrenabili sono i tratti unici
che ne contrassegnano lo sviluppo narrativo perché, alla fine,
sempre di storie si tratta, anche se in verticale. Fuochi
d'artificio, perché tanti sono i pensieri che si scatenano nella
mente di un artista che vive l'attimo sapendo che sarà unico e
irripetibile e che la mano, più veloce della mente, renderà visione
concreta oltre il mistico, oltre all'inesistente trascendenza.
Radar
perennemente accesi sulle percezioni, e non sui gesti, di una umanità
in movimento, come la voglia di monitorare l'universo sapendo che è
impossibile. Gli sfondi mono-tono di Amadio, una specie di telo
teatrale concepito per far risaltare particolari che nascono così,
senza tensione artistica ma come puro spunto dell'anima. Poi arrivano
gli sfondi intricati, quelli della produzione più complessa di
Vittorio Amadio, in cui l'urgenza è quella di dar senso e forma e
coloritura a una tela che sembra sfuggirgli dalla spatola e che lo
costringe a un inseguimento a perdifiato. Spunta l'onirico
felliniano, il grottesco di Molière,
la sottile linea d'ombra di un Conrad
breve amato e detestato. Occhieggia Murakami e le tonalità orientali
si vestono di surreale. Abbraccia le ansie e il male di vivere di un
Pavese perso nelle langhe fino al Kafka che sfugge e all'Ovidio
metamorfico
dell'arte di amare. C'è dentro Pavarotti e tanto melodramma, quello
che risuona nel suo studio, accompagnando con le note i colori
distesi di getto, le pennellate che sfiorano leggera la tela o la
comprimono, fino a farle male quando sale l'acuto e il dramma diventa
tragedia. È quando Amadio incontra la letteratura e la musica del
melodramma che le sue opere si fanno più vive, come se traesse
spunto dalle note e dalle parole per completare un immaginario che va
oltre l'immagine, oltre la storia, oltre il contesto.
Paesaggi
fantastici vivi solo nella mente e nella sensibilità di chi li sa
cogliere. Viaggi in treno e sguardi dal finestrino che raccontano di
campagne e di litorali, di archeologia post-industriale di capannoni
in disuso e rimesse per natanti senza vele. Perfino
un viaggio in immersione perché incontrare Nemo è più forte di una
stretta di mano con il Melville di Moby
Dick.
Nelle
elaborazioni anatomiche vive l'assurdo. Mai così vicino all'arte di
Guernica,
Amadio scardina i concetti dei corpi inseriti in uno spazio. E, se la
cupezza della base fa da “cornice” alla spietatezza dei soggetti
dipinti, la sensazione che dietro ci sia lo sforzo di comprendere la
complessità dell'uomo è netta e passa attraverso la non omogeneità
delle fisicità.
Vincono
comunque i contrasti, sempre decisi, mai ottenebrati da schemi
infrastrutturali che cristallizzano sensibilità ed elidono emozioni.
Gli insetti, i mammiferi, gli aracnidi, il Gregor
Samsa
che è in lui e lì staziona... mentre Teo
gli fa da controcanto... i pesci, il fondo del mare, le opere lunghe,
il profilo di Tatanka
e la battaglia di Little
Bighorne
con gli schizzi di rosso che non sono sangue ma speranze... e le
langhe e Pavese e una morte che non avrà mai gli occhi di una lei,
ma dello spirito dell'arte violentato dai pressapochisti senza idee
né fantasia né creatività... e lo scorrere dei panorami e delle
distese d'acqua visti dai finestrini di un treno o dagli oblò di una
nave, in compagnia di Chatwin. Nell'arte di Vittorio Amadio c'è
tutto il mondo impossibile nella lunga sequenza di un film che non
avrà mai una fine né titoli di coda, utili solo a rendere omaggio
ai comprimari.
Dalla nota introduttiva di Massimo Consorti