Ci
sono sempre giorni dopo la notte. E non è un assioma temporale. Ci
sono notti in cui i sogni diventano incubi e l’alba non è solo la
luce, ma l’inizio del ritorno alla vita. Ci sono notti in cui la
voglia di andare è irrefrenabile come quella di smettere... di
andare. Ci sono notti in cui i bombardamenti disegnano scie luminose
e si resta con gli occhi aperti a chiedersi se non siano stelle
filanti. Poi ci sono le notti buie della vita, quelle che non
finiscono mai e che passi in un bar bevendo l’ultimo bicchiere di
un liquido inutile e parecchio narcotizzante. Tutti questi giorni, e
i profili d’orizzonte che li accompagnano, Vittorio Amadio li
disegna e li colora,
li slarga e li tratteggia, li compone in un
unico che forma la sottile linea grigia e nera e bianca della visione
diurna di tante paranoie notturne. Ci sono tutti gli orizzonti
possibili: marini e terrestri, montani e desertici, postbellici e
post-nucleari, idilliaci e reali, onirici e materici. Si susseguono
uno dietro l’altro, e la linea si fa importante e assume la
corposità di una dimensione esistenziale che un po’ prende il
cuore, un po’ accarezza la mente, spesso fa sognare, spesso
emozionare. Se si inseguono, uno dopo l’altro, uno dietro
all’altro, il risultato è quello di una camminata sulla spiaggia
devastata dalla burrasca, di un deserto sconquassato da bombe
intelligenti tanto quanto i pensieri di solitudine che accarezzano i
clochard dell’amore malati di rimpianto. Tutto questo si vede, e si
segue, in “I giorni dopo la notte”, un’infinita strip da
leggere come un fumetto, unica difesa possibile in un mondo di
romantici incalliti e un po’ (tanto) frustrati.
Massimo Consorti
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