giovedì 9 marzo 2017

Vittorio Amadio. Eppure son lucide ceramiche: prova d'alfabeto #1


Sembrano gli elementi di un processo riproduttivo, spore e pollini che vagano nell'aria non trovando spazio sulla terra. Attendono, come fossero semi destinati a dare mille e una vita, che il vento li depositi in un campo fertile perché la voglia di esistere è maggiore di quella di seccare e scomparire.
Si leggono in 3D su quella base di ceramica simile a un tavolo cerato, e a ogni sillaba corrisponde un sospiro e a ogni sospiro un urlo e a ogni urlo uno sbattere di porte nella tempesta.
Così Amadio immagina la nascita, un susseguirsi di pollini che compongono un'aureola e più su, il dio della natura e delle messi che dà vita anche agli esseri che popolano un universo immaginario, il suo, quello dell'artista senza schemi. Le figure sono tante, appena accennate nell'argilla. E combattono e s'incontrano senza mai scontrarsi, perché questo macrocosmo d'artista non prevede guerre, non immagina disfatte, lotta contro ogni sopraffazione. Dove non arriva la massa di colore puro, subentra l'effetto acquerello voluto, ricercato, santificato fino a fare da sfondo alle storie infinite di un artista mai pago e socratianamente consapevole di doversi sempre mettere in discussione.

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