martedì 27 novembre 2012

"Metamorphosis". La prefazione-nota di Massimo Consorti


Metamorphosis
Le deformità della vita scalza

Penzolano, come stalattiti d’inverno, le deformità innaturali della vita scalza. Le metamorfosi continue di cuori e di caratteri, destabilizzano il cervello fino a bombardarlo di immagini e suoni. Fuggono, sulla via non tracciata di un sentiero di montagna, le figure amorfe di una terra senza déi né padroni, che l’uomo attraversa pensando a ieri. Sfilano e situazioni e personaggi e storie e volti in 258 metri di un disegno unico che sa di esperimento, se non fosse un tratto nero che disegna inferi e paradisi. Ed è lungo il dipanarsi di trame, che le parole assumono il senso mai compiuto di un balbettio d’altri tempi. È li che si confondono il latino tradotto in volgare e lo slavo tradotto in italiano, in una sequenza, senza verità apparente, di termini e di lessici spesso fuorvianti, altre volte incastonati in frame essenziali quanto sintesi di pensieri altri. È così che Vittorio Amadio attraversa le metamorfosi raccontate da Ovidio e da Kafka, quasi un Gregor Samsa reincarnato che, svegliandosi alle 7 di mattina, sente la schiena dura come una corazza piena di ossa aguzze, e gli occhi imprigionati in capsule ardenti di un magmatico presente.
“Metamorphosis” è un’operazione che coniuga tre momenti della cultura alta. Il primo è il lunghissimo tratto di Vittorio Amadio. Il secondo l’interazione del tratto con le parole. Il terzo l’apporto fondamentale della musica di Bert Appermont e di Elisabeth Raum che, eseguita da Lito Fontana al trombone e Fausto Quintabà al pianoforte, accompagna una storia lunga 15 minuti di scorrere lento di un mondo senza sovrastrutture. Un percorso per bambini, quasi. Se non fosse il senso dello sperdimento che accompagna un video-art di una sensibilità e di un impatto travolgenti, quanto intrigante, suadente, sorprendente è il risultato finale. 

Da dicembre su YouTube  
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