Spirito libero, inquieto, privo di qualsiasi schema precostituito fin dalla
giovinezza, vive con un profondo disagio interiore i primi anni del dopoguerra di
un’Italia cupa, grigia, ancora ferita dall’occupazione nazista, dalle bombe,
dalla fame, dalla povertà e da un senso di morte e di mortificazione che sembrano
trasformare il Paese in un immenso sudario: “Perfino le automobili – dirà
Amadio molti anni dopo - erano il segno di quella Italia. Nere o grigie o blu
notte, ravvivate ogni tanto da una striscia bianca che metteva tristezza”.
Gli anni trascorsi in collegio, la disciplina ferrea alla quale viene sottoposto,
e da cui riusciva a fuggire con il pensiero e con un’idea di arte (sinonimo e
simbolo di libertà) che aveva iniziato a pervaderlo, gli formano quel carattere
ribelle e “indisciplinato” che lo accompagnerà per tutta la vita. Profondamente
e negativamente colpito dalle violenze viste e subite appena pochi anni prima,
quando arriva il momento di prestare il servizio militare, Vittorio Amadio
decide di fuggire dalla divisa, dalle armi e, ancora una volta, dalla
disciplina. Convinti i genitori, che con grande sacrificio gli acquistano un
biglietto per la nave, parte nel 1953 dal porto di Genova per andare in
Venezuela, paese dell’America Latina in crescita che ospita già una numerosa
comunità di emigrati italiani. La promessa che fa alla madre prima di partire è
quella che tornerà in Italia nel momento in cui lei gli spedirà il congedo
militare. Trascorreranno 15 anni. Appena sbarcato a La Guaira, il porto di
Caracas, viene colpito positivamente dalle automobili che circolano in quel
paese: colorate di rosso e di giallo, segno inequivocabile di un senso della
vita opposto a quello italiano.
Sprovvisto di qualsiasi esperienza lavorativa ma animato da uno spirito
d’avventura innato, Amadio impara presto una serie di mestieri che lo mettono
nelle condizioni di vivere e di cibarsi regolarmente.
È idraulico, muratore, imbianchino, meccanico di automobili ed elettricista,
tutti lavori che, pur non avendo alcuna base di conoscenza teorica né pratica,
apprende in pochissimo tempo. Vive a Caracas, dove la vita scorre senza grandi
emozioni ma che gli riserva un discreto rapporto con l’universo femminile che,
da quel momento, inizierà ad avere un ruolo importantissimo nella vita del futuro
artista.
Proprio a causa di un’avventura sentimentale “pericolosa”, Amadio lascia la
capitale per andare a vivere nel posto più “selvaggio” e misterioso del Venezuela,
Maracaibo. Amadio porta sempre con sé la poesia, la pittura, la scultura e una
sete infinita di conoscenza che saranno le compagne di sempre, le uniche con le
quali abbia convissuto.
A Maracaibo trova lavoro in una compagnia petrolifera, vive una vita quasi
agiata, si sposa e ha una figlia. Sente la necessità di crescere anche culturalmente
e di approfondire alcuni temi che lo hanno sempre affascinato. Frequenta un
corso molto particolare all’Università di Maracaibo nel quale si insegnano e si
analizzano la pranoterapia, l’ipnotismo, il magnetismo, la metempsicosi e si
compiono viaggi all’interno dell’esoterismo. Ma mentre gli insegnanti e gli altri
studenti del corso partono da una concezione quasi “immanente” della materia di
studio, Amadio sconvolge gli schemi riportando tutti i discorsi all’Uomo, un
percorso basato sull’umano e non sul divino.
Dipinge e scolpisce, ma quasi per un gioco da fare con se stesso e per se
stesso nei momenti in cui avverte il bisogno di volare alto, di estraniarsi, di
entrare in contatto diretto con l’infinito.
Arriva il congedo militare e Amadio, come promesso ai genitori, torna in
Italia e non da solo, porta con sé la figlia e la moglie che, di lì a breve,
morirà. L’Italia non è più il paese che ha lasciato e che dopo aver vissuto
tanti anni in una dimensione di vastità quasi senza confini, trova
irrimediabilmente “piccolo”. Senza più contatti né amici, Amadio ha la
necessità di lavorare per portare avanti la famiglia. Non trovando una
collocazione adeguata nel suo paese di origine, torna a lavorare per una
compagnia petrolifera, l’Agip, che lo porterà a viaggiare per il mondo: Europa
del Nord, Africa e Oriente.
Quando si trova a trascorrere lunghi periodi in Italia, Amadio mette a
frutto le sue conoscenze nei campi della pranoterapia e del magnetismo,
ottenendo un consenso che arriva a fargli incontrare personaggi molto
importanti della vita politica, economica, artistica e culturale della fine
degli Anni ’60. A fianco di quella che è diventata ormai la sua principale
attività, Amadio aggiunge l’arte che inizia ad avere un posto molto importante
nella sua vita fino a fargli aprire uno studio a Roma, nel quartiere Parioli. Nauseato
dalla piega che la pranoterapia sta prendendo in Italia, sempre più vittima di
millantatori e di pseudo professionisti, decide di dedicare all’arte più tempo
e nel 1970 espone per la prima volta in pubblico a Pescara; una mostra
personale di dipinti e sculture che ha un notevole successo e che lo porterà in
giro per l’Europa, in mostre realizzate soprattutto in Germania, Olanda e
Svezia.
L’attività espositiva di Vittorio Amadio diventa frenetica come frenetica è
la sua produzione. Ma anche questo periodo dura poco perché l’artista medita di
ritirarsi dal mercato delle mostre per approfondire di più il suo percorso
umano e professionale. Amadio inizia ad esplorare se stesso, a definire il
senso della sua arte, a darle connotati sempre più forti, marcati, simbolici.
Influiscono la sua spontaneità, la sua idea di “mano più veloce del pensiero”,
del tratto che racchiude una storia, di una teoria dei colori basata
sull’intuizione istantanea di un pensiero, di una suggestione, di una emozione
e perfino di un battito d’ali.
Comincia a pensare che per essere viva l’arte non deve avere mediazioni,
non deve basarsi su schemi prefissati, essere figlia di nessuna teoria. Per
Vittorio Amadio conta l’”attimo”, l’istante in cui la mano posa il pennello e la
spatola sulla tela o lo scalpello scalfisce la pietra o modella il legno.
Inizia a disegnare con il tratto unico che forma il tutto e il niente, una
figura e una espressione, un ritratto o un animale in fuga: basta interpretarne
il senso.
Diventa l’artista dell’”inafferrabile”, incollocabile com’è in una qualsiasi
delle correnti pittoriche di quel momento. E’ il pittore delle “maschere”, dei
volti asimmetrici e a-sistemici che ricordano l’ancestralità del disegno
rupestre, la sinuosità delle figure degli aborigeni, la staticità delle
sculture africane, i profili degli indios, tutte esperienze studiate o vissute
in prima persona.
La sua arte diventa immaginazione, libera interpretazione, gesti che si
susseguono in movimenti tanto repentini quanto assoluti e che, come tali, non
possono essere né catalogati né descritti seguendo tipologie e metodologie
pittoriche da Storia dell’Arte.
Sviluppa l’incisione e arriva a scandagliare la “medaglistica”.
Plasma l’oro e l’argento, li lavora in lamine quasi fossero bassorilievi e dando
a ogni pezzo la particolarità della unicità. Amadio è l’artista dell’”uno per
sempre”, perché ogni segno, ogni pennellata, ogni spatolata è un momento unico
e irripetibile come le sue opere nella loro interezza e nella loro complessità.
Ad Ascoli Piceno apre il suo atelier in uno dei luoghi storici più prestigiosi
della città, Palazzo Malaspina, e fonda nel 1975 l’associazione “La Sfinge
Malaspina”, che diventa il motore propulsivo di una serie di importanti eventi
artistici a livello nazionale ed internazionale.
Continua, sempre per ragioni economiche e di sostegno alla famiglia, a
lavorare anche in altri settori fino a diventare il capo di un’industria
manifatturiera nella quale opererà fino al 1976, anno in cui decide che l’arte,
intesa come pittura, scultura, grafica e incisione sarà la sua vita.
Torna a girare l’Europa e saranno anni nei quali le opere di Vittorio
Amadio viaggiano in Francia, in Spagna, in Germania, in Olanda, in Svezia, in
Austria, in Ucraina, in Bielorussia e
ovviamente in Italia dove le sue opere vengono acquistate dai musei e invitate
a collettive e personali sempre più prestigiose. Nel 1994 inizia a lavorare la
ceramica che usa per le realizzazioni più diverse, colorandola o presentandola
in monocromie che hanno un successo immediato. Si lancia nella produzione di
oggettistica d’arte che rappresenta l’applicazione “utile” delle sue creazioni.
Poi arriva il cartone, e i “dolmen” colorati (di quasi tre metri di altezza)
iniziano a formare un bosco incantato che non si trova in nessuna parte del
mondo se non nel suo studio presso il museo Arte On. Vittorio Amadio viene
chiamato anche ad insegnare, si ritrova quindi maestro di incisione
calcografica e serigrafia nel “Villaggio del Fanciullo” di Ascoli Piceno.
Non pago delle mille sfaccettare che compongono ormai il suo vissuto
d’artista, Amadio continua la sua opera meritoria di promotore culturale e
fonda, nel 1999, l’Associazione “Creative Italian Art”, una struttura che opera
nella città di Screnton (U.S.A.), dedicata alla promozione dell’arte italiana
negli States. Il 1999 è anche l’anno di uno dei momenti indimenticabili della
carriera artistica di Amadio. Già da tempo attivo in Spagna, il Maestro viene
invitato a partecipare alla Mostra d’Arte con la quale il paese iberico darà il
benvenuto all’anno 2000. In una esposizione senza precedenti, le opere di
Vittorio Amadio vengono esposte insieme a quelle di Subira e di Pablo Picasso,
un evento nell’evento che rafforza la fama di Vittorio Amadio non solo in Spagna
ma anche nel resto del mondo.
L’anno successivo, nel 2001, fonda a Castel Di Lama, suo paese natale, il
Museo Laboratorio “Arte on”, portato avanti con grande professionalità e
passione insieme alla compagna (anche lei artista raffinata e fuori da ogni schema)
Marisa Marconi.
Con il tempo, “Arte On” diventa non solo un luogo frequentato da insigni
personaggi (critici, storici, artisti e letterati) della cultura italiana e internazionale
ma anche il tentativo più evidente di dare uno spazio di vita frequentabile, visibile
e soprattutto stabile all’Arte Contemporanea. Il Museo Laboratorio “Arte On”,
infatti, oltre che le opere di Vittorio Amadio e di Marisa Marconi, ospita le
creazioni dei più famosi maestri dell’Arte Contemporanea mondiale e, a dare un
segno inequivocabile di attaccamento alla sua terra d’origine, dei maggiori artisti
marchigiani del Novecento.
Numerose e prestigiose le rassegne alle quali ha partecipato su invito. Tra
queste vanno ricordate il “Premio Sulmona”, il “Premio Vasto”, il “Premio Valle
Roveto”, il “Premio Gian Battista Salvi” e il “Premio Emigrazione” che, nel
2007, gli dedicò una sala destinata a rendere omaggio alla sua arte grafica.
Numerosi sono inoltre i musei in Italia e all’estero che ospitano opere fra
le più significative della sua produzione, come il “Museo Dantesco” di
Fortunato Bellonzi di Torre dè Passeri, unico nel suo genere essendo
completamente dedicato alla esposizione di opere che illustrano i “Canti” della
“Divina Commedia”.
Della sua multiforme attività si sono interessati, e hanno scritto, i più
illustri storici italiani dell’Arte Contemporanea a cominciare da De Santi, per
proseguire con De Micheli, Ginesi, Toniato, Melloni, Cadena, Montané,
Strozzieri e per finire, in particolare, Giorgio Di Genova che lo ha inserito
con ampio risalto nella sua monumentale “Storia dell’arte italiana del ‘900”
(generazione Anni Trenta) edito dalla Bora di Bologna.
Folgorante per il maestro Amadio l’incontro con il Medio Oriente e l’Oriente.
Gli uomini, le donne, i luoghi, gli spazi e gli orizzonti di un immenso
Continente che gli hanno fatto scoprire una nuova dimensione non solo artistica
ma anche profondamente umana, e i cui sviluppi futuri sono ancora tutti da prevedere,
da scoprire e da vivere.
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